Liszt e il progressismo romantico caduto nel vano

Non c’è che dire, i compositori romantici non smettono mai di stupirci con la loro modernità. Altro che persistenza immutabile della musica composta prima di un certo periodo storico (idea fissa di molti musicofili e direttori d’orchestra odierni), Franz Liszt (1811 – 1886), ad esempio, oltre che i voti religiosi aveva anche abbracciato un progressismo sociale, artistico e politico da far impallidire perfino Marx!

La musica del tempo con l’eredità dei classici (in particolare, Haydn e Mozart) e pre-romantici (i.e., Beethoven), sembrava ormai gravata da un fardello ipotecario quasi impossibile da liquidare. Eppure molti fruitori dell’epoca iniziavano a non gradire i continui rimandi al passato e pagavano mal volentieri i biglietti dei teatri quandi i programmi non promettevano almeno qualche sorpresa.

Quadro intitolato "La libertà che guida il popolo" di Eugène Delacroix
Quadro intitolato “La libertà che guida il popolo” di Eugène Delacroix, dipinto del 1830 e conservato al Museo del Louvre a Parigi. Gli ideali di libertà, riscatto sociale, uguaglianza e frateternità, ispirati dalla Rivoluzione francese, furono spesso un riferimento per la cultura romantica. Liszt stesso elogiò la Marsigliese, come inno del popolo e per il popolo, come musica, cioè, non più elitaria e limitata a pochi intenditori, ma piuttosto diffusa a tutte le classi, senza distinzioni.

Ieri, oggi e domani

Questo, ovviamente, succedeva prima che venisse coniato il temine “musica classica” per indicare una sequenza di “cadaveri” in esposizione. Lo so, la frase è un pò pesante e, certamente, non ha carattere denigratorio (essendo io il primo ammiratore), ma l’amara verità è che se Franz Listz guardava alle masse, stratificate in classi sociali dettate, non da nomine e investiture, ma piuttosto dall’incalzante potere industriale che si spandeva a macchia d’olio, noi (circa 150 anni dopo la sua morte) guardiamo al suo stereotipo, come all’unica fonte di musica “colta” degna di essere ascoltata.

Il guaio, come è facile intuire, è che le classi sociali non solo non sono morte (i.e., il comunismo ha solo imbiancato facciate e ingrassato oligarchi), ma hanno messo radici profonde, soprattutto dal punto di vista socio-culturale. Con ciò non intendo dire che gli operai ottocenteschi fossero istruiti, anzi, è molto probabile che nemmeno i borghesi curassero più di tanto la cultura, ma il problema è che, se il “Paganini” del pianoforte considerava come deleterie le elitè del tempo, oggi finirebbe per rifugiarsi in un atollo del Pacifico pur di non rendersi conto di quanto ottusa e poco lungimirante è stata l’evoluzione.

Perchè l’evoluzione c’è stata (inevitabilmente) e, abbiamo già parlato del dominio acquisito dalla musica pop, ma c’è da chiedersi: è davvero questo quello che Liszt tanto desiderava? Egli parlava spesso di “progresso musicale”, ovvero marcava con tutta l’enfasi possibile la realtà in continua evoluzione a cui l’arte doveva rapportarsi. Egli osservava la nascita e la crescita di una società industriale, dove i poteri forti non erano quelli aristocratici, ma piuttosto giacevano come cagnolini ai piedi dei banchieri e dei capitani d’industria.

Quando a vedere il futuro è un compositore del passato

In altre parole, Franz Liszt aveva ben compreso due cose fondamentali: la prima è che i musicofili non andavano più cercati all’interno dei salotti e, la seconda, è che una musica che non fosse gradita alla massa operaia e basso-borghese, era destinata a fallire il suo scopo. Leggendo i programmi dei teatri nel 2024, possiamo certamente dire “Povero illuso!”

Non soltanto la sua idea si è allontanata sempre più dalla musica di “consumo” (quella che egli stesso desiderava, quando sperava che i canti venissero intonati da operai, impiegati e dirigenti), ma è andata anche a naufragare contro scogli ben più acuminati. Se, infatti, Liszt vedeva nel connubio tra musica e poesia, il coranamento di uno sforzo artistico teso a rappresentare la società in modo capillare e, soprattutto, coinvolgente, potremmo chiederci che cosa ne è stato del suo proposito e auspicio.

La risposta è semplice almeno tanto quanto il risultato: la musica pop ha preso il posto che era custodito dai “grandi” compositori, mentre un ramo parallelo, dalle fattezze di una mummia egizia, si è cristallizzato in una posa che richiama un perenne déjà-vu. Tronfi di un nulla gonfiato come lo Zeppelin, direttori artistici di teatri e direttori delle relative orchestre annunciano col sorriso sulle labbra che inaugeranno il nuovo anno sinfonico con le musiche di Schumann.

Altro che i propositi del povero Liszt che voleva la diffusione di massa, l’abbattimento di ogni confine elitario, la rappresentazione della cultura popolare e così via! Mentre Spotify diffonde musiche scritte il giorno prima, costoro, con abiti eleganti, tessono (giustamente) le lodi di Brahms, Beethoven e Mozart, dimentichi del fatto che sono trascorsi circa 200 anni dallo loro ultima opera.

Gruppo di persone ad un concerto di musica pop
Gli stadi possono diventare le nuove sale da concerto, a patto che musica e poesia ritrovino la loro forza e si saldino in un legame sempre più forte e imprescindibile.

Arti in evoluzione contro musica “cadavere”

Ciò vuol dire che devono cadere nell’oblio? Mai! Questo sarebbe sciocco prima di essere addirittura dissacrante. E’ come se Picasso avesse adombrato Michelangelo o Raffaello, come se De Chirico avesse fatto dimenticare Giotto o come se Pirandello avesse messo in ridicolo Boccaccio o Shakespeare. Ma proprio dopo questa sfilza di confronti, una domanda timidamente si fa strada: perchè Picasso è tenuto in grande considerazione? Perchè l’opera di prosa “Sei personaggi in cerca d’autore” è considerata un capolavoro? Perchè la “Casa sulla cascata” di Frank Lloyd Wright è osannata al pari (o quasi) della cupola di San Pietro?

Domande interessanti, non è vero? La normale conseguenza è quella di chiedersi, perchè in musica, Bob Dylan è considerato un nano di fronte a Schubert? Perchè Morricone, molto suonato – a dire il vero, è trattato com un compositore da film, molto gradevole, ma che non può reggere il confronto con Mahler? Insomma, perchè tutte le arti hanno seguito l’invito di Franz Listz e la musica “colta”, prima destinataria delle sue parole, si è auto-segregata in un museo di anatomia e paleontologia?

Io credo che il motivo sia semplice. La musica “popolare” ha effettivamente seguito il corso degli eventi, si è aggiornata di continuo, sperimentando e cercando sempre nuove vie d’espressione. In un certo senso, la speranza di Liszt di ascoltare i canti tra le folle di operai è stata coronata. Ma allora, perchè lamentarsi? Purtroppo, ciò il compositore non dice chiaramente è che il connubio tra musica e poesia deve sposare l’impegno musicale con l’impegno poetico. “Impegno”, ovvero ricerca della qualità tramite una vera ispirazione spirituale.

Sicuramente ciò è accaduto in molti casi, soprattutto dal punto di vista poetico, perchè parecchi testi di canzoni pop e rock sono densi di contenuti e gradevoli anche ai palati più fini. Putroppo, però, sia la musica che moltissimi testi di canzoni in cima alle classifiche sono classificabili come esempi di esercizio della stupidità! E la cosa più grave è che l’industria discografica (analoga alla stessa società deprecata e condannata da Liszt), nel favorire un artigianato con basse pretese, alimenta il cosidetto “mainstream“, suffrangando, volente o nolente, la causa dei nostalgici del classicismo.

Conclusioni

Di chi è dunque la colpa (se di colpa si tratta)? Certamente possiamo subito scagionare i compositori classici e romantici e, in un certo senso, possiamo “graziare” gli amanti di Chopin e gli oratori di Haydn. Non c’è ragione di colpevolizzare, infatti, chi semplicemente rifiuta il brutto. Come ho già avuto modo di dire, se proprio è necessario trovare un capro espiatorio, gli unici “colpevoli” sono proprio i compositori contemporanei.

Altro che le lodi sperticate di Listz rivolte alla Marsigliese! L’idea malsana di una musica intellettualistica, incatenata da concezioni che non possono essere decodificate senza una spiegazione reiterata e il rifiuto per il “mainstream“, hanno contribuito a lasciare cadere nel vano ogni velleità del virtuoso romantico. Taylor Swift non ha certo bisogno di Caroline Shaw, e quest’ultima può seguire le sue idee rinunciando alla vita lussuosa dei rapper che credono di essere i nuovi Dante Alighieri! Insomma, sembra che nessuno abbia bisogno dell’altro, in un circolo di “egoismo” senza pari.

Ci troviamo dunque in un’impasse che sembra non avere vie d’uscita. Eppure la soluzione è molto semplice: i poeti (per favore, non chiamiamoli “parolieri”) potrebbero iniziare a scrivere liriche adatte alla musica e, anche non imitando il concetto di arte totale propugnato da Wagner, i compositori pop potrebbero cominciare a ristudiare armonia e a comporre musiche, basate sì su strumenti moderni (con apprezzatissime “intromissioni” di archi, flauti, arpe, etc.), ma degne di essere accostate ai Lieder di Schubert o alle canzoni di Faurè.

Insomma, la lezione di Franz Liszt è molto semplice: la musica deve essere progressista, per il semplice motivo che la società è in perenne evoluzione e ogni forma di conservatorismo è non solo deleteria ma del tutto inutile. Inoltre, i fruitori della musica, come accade oggi, sono anche le persone sedute ad attendere nei saloni dei barbieri e parrucchieri e, per dirla tutta, vista l’enorme differenza di numero, proprio questi ultimi devono essere i destinatari privilegiati di buona musica, non solo coloro che pagano il biglietto per sedersi in sale da concerto mezze vuote ad ascoltare i quartetti Razumovsky di Beethoven.

Mai dimenticare il passato, dunque, e mai pensare che Bach o Mozart abbiano scritto musica deperibile. Ma il tempo non può essere nè fermanto, nè tantomeno rallentato: cerchiamo dunque di seguire l’esempio di Liszt e smettiamola di creare compartimenti stagni per “intenditori”. Fin troppe opere d’arte (per intenditori) marciscono nelle cantine dei musei. E’ ormai tempo di evitare questi sprechi, di non lasciare che l’industria detti i suoi canoni, perchè la fruibilità non è partorita dalla banalità, ma dalla pura e semplice arte di qualità!

Breve nota biografica su Franz Liszt

Franz Liszt (1811 – 1886), compositore, virtuoso pianista e direttore d’orchestra ungherese, fu uno dei musicisti più importanti dell’era romantica. I principali contributi musicali di Liszt includono le sue innovative composizioni per pianoforte che hanno ampliato i confini delle progressioni e delle forme armoniche tradizionali. Le sue opere, come gli “Studi trascendentali” e le “Rapsodie ungheresi”, sono note per la loro brillantezza tecnica e profondità emotiva.

A parte il suo genio musicale, Liszt fu anche una figura chiave nello sviluppo del poema sinfonico, una forma in cui un brano di musica strumentale è ispirato da un’opera non musicale, come una poesia o un dipinto. I poemi sinfonici di Liszt, come “Les Preludes” e “Mazeppa”, hanno messo in mostra la sua capacità di evocare immagini vivide e narrazioni attraverso la musica.

Francobollo emesso in Germania (DDR) nel 1961 per celebrare i compositori Franz Liszt e Hector Berlioz
Francobollo emesso in Germania (DDR) nel 1961 per celebrare i compositori Franz Liszt (1811 – 1886) e Hector Berlioz (1803 – 1869). I due ebbero un intenso rapporto e Liszt, amante della musica a programma, trovò in Berlioz un perfetto esempio di come si potesse far evolvere l’arte musicale.

Oltre ai suoi contributi musicali, Liszt era noto anche per le sue opere filosofiche sulla musica e sull’arte. Ha sostenuto l’idea della “musica a programma”, in cui la musica strumentale trasmette una narrazione o un’idea extra-musicale, aprendo la strada a compositori come Richard Strauss e Gustav Mahler. Nel complesso, l’eredità di Franz Liszt come compositore, pianista e pensatore continua a influenzare musicisti e amanti della musica in tutto il mondo.


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