Quasi un’ode. Sostenuta, a tratti grave, ma sempre decisa
Ogni percorso conduce ad una destinazione. Più precisamente, potremmo dire “alla destinazione”, perché in fondo l’idea prefigurata di una meta è semplicemente la proiezione di un’attualità potenziale che, purtroppo, ci attrae senza speranza di dissuasione.
Non ha molto senso pensare che al di fuori di noi – in senso psicologico – debba esistere un (non-)luogo privilegiato ove il nostro camminare debba condurci senza mai svelare in anticipo alcun dettaglio: noi arriviamo dove il nostro respiro cessa di rubare aria al cosmo e la bandiera che ci è data facoltà di piantare, troverà posto solo sulla terra. Luogo che, appena un’istante prima di essere conosciuto, era solo l’immagine effimera di una misteriosa destinazione dove coronare un apparente sforzo senza fine.
Il dramma maggiore che affligge l’uomo è proprio l’ineluttabilità dell’attuale, una realtà che esonda e sommerge l’idea illusoria di poter sfuggire a se stessi attraverso un qualsivoglia percorso evolutivo. Ma quale strada migliore della vita come anticamera della morte spinge l’uomo verso la sua più completa e irreversibile alienazione?
E quale migliore senso di “sorpresa” sgorga nell’individuo che realizza finalmente di poter giungere ove i suoi pensieri non potranno mai posarsi? Apparentemente devastante, questa constatazione è il pungolo che ferendoci istante dopo istante, ci sospinge nella presa di coscienza di essere troppo potenti per la realtà che ci è data e troppo deboli per la sua trascendenza.
In questo limbo, l’uomo langue e si contorce sperando che quei vincoli tanto tenaci possano di colpo svanire lasciandolo sgomento di fronte alla possibilità fin a quel momento solo teorizzata. Ma una tale possibilità, di contro, è viva solo nella sua assenza dal firmamento mentale dell’uomo e muore definitivamente quando è tradotta a forza nel “paradiso” della potenzialità.
Lì diviene un embrione di attuale e la sorpresa inizia a dipingersi dei toni lugubri del lutto inesorabile. Il cammino ha disvelato di nuovo la realtà: esso termina una volta raggiunta la destinazione; non prima, non dopo: esattamente in quel potenziale che, reificandosi, diviene attuale, ricandendo nello stesso terreno ove il ricercatore poggia i piedi.
Come un uccello, prima sagomato di quella celestiale capacità di sottrarsi alla pesantezza e adesso caduto morto ai nostri piedi, la tanto agognata potenza sulla realtà ha partorito i suoi figli, fatti della sua stessa essenza, e, facendo ciò, li ha “condannati a vivere” semplicemente perchè non possono fare altro.
Breve nota biografico-filosofica su Martin Heidegger
Martin Heidegger era un filosofo tedesco noto per i suoi contributi all’esistenzialismo e alla fenomenologia. Nato nel 1889 a Messkirch, in Germania, Heidegger studiò inizialmente teologia prima di dedicarsi alla filosofia. È conosciuto soprattutto per il suo lavoro “Essere e tempo“, in cui esplora la questione dell’essere e dell’esistenza.
La filosofia di Heidegger sottolineava l’importanza dell’esperienza individuale e il concetto di “essere nel mondo”, ovver il Dasein. Credeva che l’esistenza umana, nelle sua possibilità di essere “autentica” o “inautentica”, fosse fondamentalmente radicata nelle nostre interazioni con il mondo che ci circonda e che comprendere l’essere fosse essenziale per comprendere noi stessi.
Nonostante i suoi contributi intellettuali, il coinvolgimento di Heidegger con il partito nazista durante la seconda guerra mondiale è stato motivo di controversia. Mentre alcuni sostengono che il suo lavoro dovrebbe essere separato dalle sue opinioni politiche, altri criticano la portata del suo coinvolgimento e le sue implicazioni sulla sua eredità filosofica. Tutto ciò viene ampiamente discusso nel libro di Rüdiger Safranski che, senza prendere posizione, analizza con occhio clinico la realtà dei fatti e ne rende un quadro gradevole e comprensivo di ogni dettaglio utile.
Le idee complesse e influenti di Heidegger continuano ancora oggi a provocare dibattiti e discussioni nel campo della filosofia, della sociologia e della psicanalisi. In particolare, il concetto di “angoscia” ricopre un ruolo centrale nella trasformazione da esistenza inautentica a vita autentica e, paralellamente, in campo psicanalitico, essa rappresenta un momento “privilegiato” (anche se doloroso) per scrutare le oscure dinamiche dell’inconscio.
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