Il vecchio comandante

Versione PDF stampabile

L’anziano militare giaceva quasi tutto il giorno steso su una branda dell’ospedale militare. Era stato messo a riposo forzatamente per raggiunti limiti d’età, anche se ognuno sapeva ormai che la vera ragione era un’altra: pressoché tutti i suoi subalterni non avevano ancora avuto alcuna possibilità di comando benché iniziassero a manifestare le prime avvisaglie di senescenza.

«Ha la fortuna sfacciata di non morire. Diventa sempre più smagrito e stanco, ma non vuole mollare. Neppure in ospedale si rassegna alla natura…» si vociferava nelle camerate e tra gli ufficiali in attesa di collocazione operativa.

Intanto il vecchio, tra flebo e clisteri, continuava ad ascoltare un bollettino due volte al giorno, molto spesso il medesimo, scritto e letto da un’accondiscendente infermiera (la quale, tuttavia, lo assicurava che provenisse dalle autorità militari). Subito dopo, triste e severo al tempo stesso, meccanicamente e con la mano tremolante, scriveva note tattiche “essenziali” da far recapitare ai suoi ex-sottoposti impegnati al fronte.

«Non ce la faranno» continuava a ripetere scuotendo il capo. «Senza esperienza, finiranno per farsi massacrare come maiali al macello.»

Poi, sgranando nella mente il suo rosario di pallottole, iniziava a imprecare in silenzio contro coloro che l’avevano ritenuto ormai troppo anziano per quel ruolo: «Giovani!» diceva stizzito. «Che non diventeranno mai adulti!» E concludeva sempre maledicendo il mondo intero.

L’infermiera, che era anche moglie di un colonello in prima linea, considerava il suo lavoro come una vera missione e leggeva i “bollettini” al comandante perfino con grottesca gravità. Al termine, come se fosse parte della cura, si occupava di controllare attentamente le note scritte da quella mano così incerta e di filtrarne il contenuto per non fare ulteriormente innervosire i militari già sottoposti allo stress delle bombe e dei combattimenti.

Militare anziano, un vecchio comandante

Nella maggior parte dei casi, il vecchio generale si limitava a fantasiose informazioni meteorologiche, anche se la povera donna, schiacciata da ambo le parti, in più di un’occasione gli aveva fatto notare che il contingente impegnato era ormai a più di cinquecento miglia di distanza e che le sue osservazioni attraverso la finestra dell’ospedale, forse, non erano poi così essenziali.

Tuttavia, dopo ogni tentativo che sembrava inizialmente sortire il suo effetto, il vecchio, duro come un sasso, serrava i muscoli della bocca e voltava lo sguardo altrove. La volta successiva, come se nulla fosse accaduto, ripeteva alla donna le stesse indicazioni e si rifiutava di voltarsi per l’iniezione se ella non avesse immediatamente fatto telegrafare i suoi preziosi consigli.

Un giorno di ottobre, dopo un incontro strategico tenutosi in città, un maggiore impegnato nelle battaglie decise di andare a trovare colui che era stato suo diretto superiore per qualche anno, prima del definitivo ritiro.

«Come sta comandante?» lo salutò con cortese rigore. «Riceve buone cure in questo ospedale?»

«Mi hanno costretto a restarci!» esclamò il vecchio con tono contrariato. «Come pensi possa sentirmi? Male, direi… Sapendo, oltretutto, che al fronte i soldati arrancano.»

Il maggiore, responsabile di un battaglione in piena salute, abbandonati i propositi caritatevoli, iniziò a innervosirsi: «Non è così» rispose seccamente. «I nostri uomini sono vigorosi e proprio ieri è stato espugnato un avamposto nemico di primaria importanza!»

«Mah…» sospirò il malato scoprendo un braccio pieno di ecchimosi da flebo. «A me non sembra.»

«Cioè», sbottò il maggiore divenuto rosso in viso «lei mi vuole dire di sapere meglio di me ciò che succede al fronte?»

Il vecchio comandante fece un gesto con la mano, come se volesse scacciare contemporaneamente sia la domanda che l’eventuale imbarazzo di dover dare una risposta ragionevole. Senza neanche dire una parola, il maggiore, offeso e turbato per quel comportamento, gli rivolse uno svogliato saluto militare, girò i tacchi e uscì dalla stanza.

Nel corridoio c’era un capannello di medici e infermieri. Si avvicinò e, notando la moglie del suo superiore in campo, si toccò la testa con un dito e chiese: «Non è più in sé, vero?»

Un dottore dall’aria perennemente distratta, infastidito per quell’osservazione gratuita, gli ripose con un laconico tecnicismo: «Non manifesta alcun sintomo di demenza, se è questo che intende sapere.»

La donna, invece, capendo a quali comportamenti l’ufficiale si riferisse, lo prese sottobraccio e si staccò insieme a lui dal gruppetto: «E’ durata poco la visita!» esclamò ammiccando.

«Sfido io! Tra un po’ avrebbe messo in dubbio perfino il mio nome… Gli ho raccontato dell’ottimo risultato di ieri e lui ha risposto che non ne era convinto. Assurdo!»

«La verità», aggiunse la donna «è che non accetta il suo nuovo ruolo e preferisce sentirsi ancora protagonista, comandante, decisore finale.»

«Ma così facendo», disse l’uomo ormai più calmo «nessuno verrà più a visitarlo. Sa cosa dicono al fronte e nelle caserme?»

«Posso immaginarlo» rispose con calma la donna.

«Certo. Con suo marito non le è affatto difficile… In fondo il colonello è stato una ‘vittima’ del vecchio. E’ molto improbabile che riceva altri incarichi operativi dopo questo. E, badi bene, non le sto raccontando un pettegolezzo… E’ lui stesso a ripeterlo ogni giorno.»

«E anche ogni notte…» lo incalzò l’infermiera sorridendo con complicità.

Il maggiore scorse una luce brillare nel fondo malinconico di quegli occhi verde mare: «Appunto!» esclamò sfiorando, senza rendersi conto di quel che faceva, i capelli morbidi della donna.

«E pensi quale peso è per me il dover avere a che fare con il vecchio e poi, quando ogni tanto mio marito torna a casa, anche con le sue lagnanze» disse scuotendo il capo.

«Ma perché non chiede che le cambino reparto?»

L’infermiera si guardò le punte delle scarpe bianche e poi, lentamente, rialzando lo sguardo, rispose: «Prima di tutto, non è possibile. Sono l’unico paramedico qualificato per l’assistenza ai degenti di questa corsia. In secondo luogo…» Si fermò per soppesare le parole: «Potrà non crederci, ma senza di me, quell’uomo sarebbe spacciato.»

Il maggiore corrugò la fronte, come se non avesse ben capito quanto gli era stato appena riferito: «Perché mai dovrebbe essere spacciato? Ha sentito il medico poco fa? Non hanno riscontrato alcuna demenza e perciò lo tratterebbero esattamente come gli altri ricoverati.»

«E’ appunto questo il problema!» rispose la donna sospirando come se sentisse le sue spalle scricchiolare per la stanchezza. «Il comandante non è pazzo, né demente, ma trattarlo con indifferenza, con il distacco di chi non lo conosce, significherebbe renderlo un vegetale morente.»

«Quindi lei mi sta dicendo che è tutta una finzione? Che si diverte a comportarsi in questo modo?»

«No, no, maggiore, non mi fraintenda» rispose pazientemente l’infermiera. «La mia esperienza mi ha insegnato che, in questi casi, la persona vive costantemente un dramma di sdoppiamento. Veda», disse prendendo il braccio dell’interlocutore «noi sappiamo marcare la differenza tra immaginario e reale e soprattutto siamo consapevoli che ogni nostra comunicazione si basa su una convenzione prestabilita. Io sono ‘costretta’ a crederle – con le riserve del caso, s’intende – se lei mi racconta le vicende accadute al fronte, perché entrambi siamo coscienti che io non posso essere informata quanto lei che è direttamente impegnato in prima linea.»

«Non ho dubbi in proposito» esclamò il militare come se quello che aveva appena udito fosse per lui banalmente ovvio.

«Bene» continuò la donna. «Per il comandante è diverso. Egli vive in un luogo immaginario, fatto di ricordi, idee, azioni, decisioni e così via… Purtroppo, però, quando parla con la gente, poca a dire il vero, non è più capace di spostarsi in quell’ambito reale che permette la condivisione. Rimane solo nel suo piccolo mondo, proprio come un soldato disperso in battaglia, un soldato che urla pur rendendosi conto che il frastuono delle bombe rende vano ogni suo sforzo. Per questo lo compatisco. E sopporto anche il suo carattere odioso.»

Il maggiore fece una smorfia: era abituato a obbedire ai suoi superiori e quella donna, in quanto moglie di un colonnello, rappresentava per lui una voce indiscutibile. Si limitò a risponderle: «Sarà… Ma io non riesco proprio a compatirlo» e si congedò ricambiando forzatamente il sorriso solare dell’interlocutrice. Mentre iniziava a scendere le scale, l’infermiera, con un tono fin troppo squillante, esclamò: «A presto allora!» e si dileguò nella sua corsia.

Qualche giorno dopo, il vecchio venne colpito da un attacco di cuore e morì senza il conforto di parenti o amici. L’infermiera se ne accorse al mattino, mentre preparava i medicinali da somministrargli; il medico, lo stesso che aveva affermato la perfetta sanità mentale del comandante, dichiarò che il decesso era avvenuto non più di due ore prima per cause naturali.

Nei giorni seguenti circolarono le voci più disparate: alcuni militari dissero che l’uomo era stato ritrovato con i pugni serrati alle lenzuola, come se volesse restare in vita a tutti i costi. Altri, invece, dissero senza troppi giri di parole che era stato il suo orgoglio a spingerlo verso un deperimento progressivo, un tramonto che gli avrebbe evitato di dover sopportare ancora la sua sofferenza interiore.

Il maggiore, al contrario, sospettoso per natura e poco incline alle fantasie, andò di nuovo a trovare l’infermiera. La trovò nella camera precedentemente occupata dal vecchio, mentre faceva un’iniezione a un nuovo malato.

«Adesso ha un ricoverato in meno da compatire» le disse il militare stringendole la mano.

«Forse» rispose la donna riaggiustandosi una ciocca castana che ondeggiava proprio davanti al suo occhio destro. «E forse lei invece ne ha appena trovato uno…»

Il maggiore la fissò perplesso: «Cosa intende dire? Non la capisco.»

«Oh bella!» esclamò l’infermiera facendo luccicare gli occhi come un adolescente. «Adesso è lei che vuole vivere nel suo paradiso immaginario!»

«Paradiso immaginario? Ma di cosa parla?» sbottò improvvisamente il maggiore, innervosito per quegli arzigogoli così poco pratici. «Io vengo da un avamposto di guerra, signora, e come le racconterà certamente suo marito, il nostro è tutto tranne che un paradiso!»

La donna strizzò l’occhio e sfiorò con le dita affusolate il volto ispido del militare: «Non mi dica che non verrà più a trovarmi, adesso che ho pure realizzato il suo desiderio» e immediatamente, come un fulmine che si insinua tra le nubi, sparì in un’altra camerata di pazienti.

Il giovane militare, ammutolito e attonito, risistematosi il basco, si bloccò impietrito di fronte alla porta della camera occupata un tempo dal vecchio comandante, fece un saluto militare e poi, lento come un anziano degente, uscì dall’ospedale fissando in silenzio le mattonelle verdi del pavimento.

Poco meno di un mese dopo, il suo battaglione, stremato da un’attesa estenuante, fu colto di sorpresa da un attacco nemico e diversi soldati persero la vita.

Il maggiore, comandante della squadra, venne ritrovato il giorno dopo, mentre, riverso a terra con il torace trafitto da due proiettili, teneva stretto come un fucile il tronco rinsecchito d’un vecchio oleandro.


Depositato per la tutela legale presso Patamu: certificato


Se ti piace il racconto, puoi sempre fare una donazione per supportare la mia attività. Basta un caffè!


Share this post on:
FacebookTwitterPinterestEmail