Il valore di scambio del dono

La natura, con la sua semplicità espressiva, ci ha insegnato che gli scambi avvengono in funzione di una differenza di potenziale tra datore e accettore. In termini più generali, potremmo parlare di una generica “differenza” in virtù della quale vengono stabilite, in modo consequenziale e propoziale, le condizioni per le quali un oggetto di scambio diventa idoneo per il transito da un ente che lo possiede ad un ente che lo riceve.

L’eguaglianza, quindi, non “(s-)cambia” poichè essa è ipso facto assimilabile ad uno stato di equilibrio ove, appunto, tutte le forze inter-agenti sono compensate per determinare un’assenza di necessità di alcun tipo di scambio.

L’economia ci ha invece insegnato che questa differenza di potenziale è direttamente proporzionale ad un mediatore super partes che è stato comunemente denominato “valore”: maggiore la differenza, maggiore il valore dello scambio e, conseguentemente, maggiore sarà il valore puntuale dell’oggetto di scambio.

Condizione, quest’ultima, che, in modo tacito e alquanto “invadente”, associa ad ogni possibile bene un “cartellino di valore” che, data la totale equivalenza (dovuta alla neutralità del numero) dei valori stessi, rende di fatto beni con lo stesso cartellino, beni equivalenti o, per mantenere la stessa terminologia usata fino adesso, beni iso-scambiabili.

Persona che porge un dono. Il valore di scambio del dono è insito nella sua intrinseca gratuità
Il valore di scambio del dono è insito nella sua intrinseca gratuità.

Tale realtà, del tutto “innaturale” diviene, per comodità e per eccessiva semplificazione simbolica, lo strumento di rilevamento delle condizioni favorevoli o sfavorevoli agli scambi. Pur tuttavia resta inevaso un importante interrogativo: come sono regolati gli scambi ove viene posta in essere solo la prima parte della transazione, ovvero i dono gratutiti?

La risposta, tutt’altro che semplice, può essere lentamente ri-composta partendo dall’origine di quell’unione sim-bolica (da sym-bàllein) che metteva insieme l’entità A con l’entità B in funzione di un significante “locale” (quindi affatto universale). In tali condizioni, il datore e l’accettore trasformavano ogni transazione nell’unione di due frammenti del medesimo “coccio” originale e, a partire da ciò, determinavano la valenza simbolica che autorizzava (nel caso di coincidenza) o sconsigliava (nel caso di differenza) lo scambio.

Il dono, come caso particolare di scambio simbolico, non è affatto una transazione priva di “valore” di ritorno, in quanto ciò, anche se apparentemente contraddetto dalla “realtà dei fatti”, implicherebbe un impoverimento unilaterale senza alcuna possibilità di recupero.

Al contrario, donare “gratuitamente” definisce uno s-cambio in cui il significante che “autorizza” la trans-azione (che è sempre trans- perchè l’autoreferenziale è iso-potenziale) si basa su un ritorno a livello emotivo, esistenziale, finalistico che, nel sorriso del ricevente, nel (ben-)essere indotto e perfino nella riduzione del potenziale “negativo” che gli permette di “avvicinare” il suo valore a quello di molti altri soggetti, trova la ricompensa che rende proficuo e “appagante” lo scambio.

Donare, come recenti studi hanno dimostrato, produce perfino un feedback cerebrale assimilabile a quello indotto dall’eccitazione della ricezione di un dono o di una fortissima emozione (come uno stato di orgasmo) e ciò non può che confermare neuro-scientificamente che l’illusione del dono senza ritorno è solo un artificio per enfatizzare egoisticamente l’atto di cessione verso un ente che presenta un carattere di indigenza.

Non è forse vero, in fondo, che l’elemosina più “vera” è quella donata in modo completamente anonimo? La verità di questa “semplice” condizione umana trova piena conferma nella soddisfazione comune che non tarda a sopraggiungere (come valore di ritorno dello scambio) attraverso l’acquisizione della consapevolezza dell’incrementato benessere di chi (asoggettivato) ha ricevuto quanto è stato donato.


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