Non ho fatto la guerra

Rappresentazione astratta del dolore della guerra

“Quando dico che la guerra è la fonte di tutte
le arti, intendo dire anche che è la fonte
di tutte le grandi virtù e facoltà degli uomini.”

(J. Ruskin)

Non ho fatto la guerra:
troppo giovane per aver combattuto in patria,
troppo fortunato per non averlo fatto altrove.

Secondo alcuni,
non ho alcuna chance di vendere un opuscolo:
la gente più impegnata vuol sapere del suo passato,
quella meno erudita,
di risa o di soldi facili.

Stare tra le mascelle umide d’una trincea,
nell’ammuffita suite d’un carro armato,
sparare in fronte ad un nemico
(o ancor meglio se ad un commilitone o ad un civile),
ricopiare le stesse lettere ad altrettante amanti,
alimentare o strozzare inutili speranze,
piangere pensando:
a campi fertili (brulli almeno quanto i ricordi),
a donne facili (fin troppe),
ad amici riformati perchè troppo belli,
o, semplicemente,
alla vita, (affatto spensierata),
dei fanciulli adesso in guerra.

Tutto ciò fa di un uomo uno scrittore.
Con dissennata venerazione delle parole,
anche un poeta,
con un gusto sopraffino per mobili e tendaggi,
uno sceneggiatore,
con l’orrido diluito nelle vene,
uno da chiamare solo in casi rari
(preavvisando, comunque,
anche un mutilato démodé avrebbe la sua parte).

Io invece,
che di tutto ciò non posso essere alcunché,
faccio il becchino in un cimitero di battaglia:
seppellisco libri,
taccuini,
penne rotte,
e qua e là il tasto orfano di un’Olivetti arrugginita.

Faccio bene il mio dovere
e la sera bevo vodka rassegnato:
in quest’Europa tanto unita,
di nuove guerre
proprio non se ne vuol parlare…

…e la Storia,
con grande disappunto,
si rilegge la mano senza capirci granché…


Depositata per la tutela legale presso Patamu: certificato


Breve nota critica sulla mercificazione dell’arte

La mercificazione dell’arte è stato un processo graduale influenzato da vari fattori che vanno dall’ascesa della cultura del consumo ai progressi tecnologici. Poiché l’arte veniva sempre più vista come una merce da acquistare e vendere, il suo valore intrinseco e il suo scopo originario venivano spesso messi in ombra dalle richieste e dalle tendenze del mercato. Questo spostamento verso la mercificazione ha portato alla diffusione di una superficialità di massa nel mondo dell’arte, dove le opere d’arte vengono spesso giudicate in base al loro successo commerciale piuttosto che al loro merito artistico.

La mercificazione dell'arte e la guerra alle forme di creatività pura
La mercificazione dell’arte è un processo che è iniziato durante il Romanticismo ed è stato ampiamente stigmatizzato da Richard Wagner. L’artista non è più spinto alla creazione seguendo il suo spirito e la necessità interiore (cfr. Kandinskij), ma piuttosto da una falsa domanda del mercato indotta dai grandi capitalisti.

La proliferazione dei social media e delle piattaforme digitali ha ulteriormente alimentato questa tendenza, creando una cultura in cui l’arte viene consumata rapidamente e superficialmente, spesso ridotta a mera stimolazione visiva. Gli artisti, sotto pressione per creare pezzi commerciabili, possono dare priorità all’estetica piuttosto che al significato più profondo o all’originalità, soddisfacendo i gusti popolari piuttosto che sfidarli.

Di conseguenza, il mondo dell’arte è diventato saturo di opere commercializzate e prodotte in serie che danno priorità al profitto rispetto alla creatività e all’autenticità. Questa mercificazione non ha influenzato solo l’arte stessa ma anche il modo in cui viene percepita e valorizzata dalla società, contribuendo a una cultura di superficialità e gratificazione immediata.


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