L’amore che sfugge: emozionati contemplando un’immagine estatica

Rappresentazione astratta di un amore che ormai trascende i confini della vita per congiungersi al femminino sacro.

« …O unico splendente dalla Luna.
Possa io uscire tra la moltitudine tua.
Possa io manifestarmi tra i glorificati… »

(Frammento dal Libro Egiziano dei Morti)

Cosa vedi, amore mio,
adesso che da sola,
navighi verso ciò
che mille volte volemmo nostro?

Ti deposero su una ninfea,
adagiata come una perla
tra le foglie soffici di Primavera.

Quanta gente osservò quel rito!
E anch’io, nascosto tra la folla,
rividi il tuo viso sfiorato da vacui soffi,
e le tue mani,
chiuse in grembo
da un maggiordomo in smoking nero.
E dentro di me qualcosa s’agitò,
come i lampi silenziosi
che tanto amavi veder scalfire il cielo!
Chi erano quelle anime piangenti?
Alcune t’osservavano,
altre si cingevano la fronte,
e preferivano bagnarsi i palmi
pur di non mostrarsi umani.

Invece tu,
tu amavi in fondo le tue lacrime,
gocce distillate di un’amara delusione,
frammenti che non trattenevi,
né coprivi di vergogna.
Anche nella sofferenza restavi nobile:
così testarda,
temeraria
e inutilmente paurosa della tua forza,
che anche il marmo freddo,
si sarebbe sgretolato e fatto zucchero,
per te e solo te.

Per te,
io provo adesso a tracciare un confine,
una linea sull’acqua verde,
tra il regno dello stupore,
della bellezza,
dell’amorevole fierezza,
e lo strazio
che adesso,
si dispiega lentamente
come la ninfea ove il tuo volto giace immoto.
Mentre l’acqua si fa crespa
mi pare di veder la trasfigurazione
di quegli schizzi di morbido francese
che così bene s’adagiavano nel tuo cantare.

E nascosto dietro un albero,
solo,
adesso anch’io piango
e senza timore alcuno,
né rimorso,
stringo i pugni su un anello
che mai fu pegno tanto grande
quanto l’immenso luogo fatato
ove tu,
soltanto tu,
mi volesti compagno
e solo vero amante.

Ti deposero su una ninfea,
adagiata come una perla
tra le foglie soffici di Primavera.
E sbocciasti,
già morta,
mentre il Sole, stanco,
scendeva anch’egli,
verso i mari
che tanto amasti
e che tanto inesorabilmente vollero,
infine,
essere il tuo vestito blu,
nel lungo viaggio oltre la notte.

..

Cosa vedi, amore mio,
adesso che navighi sola
verso ciò che ora è tuo?

Tu vai.
Io t’osservo.

E già il veleno
corre in me,
e mi dona la vertigine
dell’oblio più cupo.

Addio,
unico e solo amore mio.
Addio.


Depositata per la tutela legale presso Patamu: certificato


Breve nota sull’amore e sul femminino sacro

Il concetto del sacro femminino è un archetipo potente e profondamente radicato che trascende i confini culturali e può essere trovato in varie mitologie e tradizioni in tutto il mondo. In molte culture, il sacro femminile rappresenta le qualità nutritive e vivificanti dell’energia femminile divina.

Nella mitologia greca, dee come Atena, Artemide e Demetra incarnano diversi aspetti del femminino sacro, come saggezza, indipendenza e fertilità. Nell’Induismo, dee come Lakshmi, Saraswati e Durga simboleggiano prosperità, conoscenza e protezione.

Il concetto del femminino sacro è prominente anche nelle culture indigene, dove la Madre Terra è venerata come forza nutriente e sostenitrice della vita. Nelle tradizioni dei nativi americani, la figura della Madre del Mais simboleggia la fertilità e l’abbondanza.

In diverse culture, il femminino sacro rappresenta una connessione con il mondo naturale, l’intuizione e la profondità emotiva. Abbracciare il sacro lato femminile della realtà può aiutare le persone a coltivare qualità come amore, compassione, creatività e forza interiore nella loro vita.


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