Commedia contemporanea (Parte II)

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Parte II

I farmaci funzionavo abbastanza bene: riusciva a mascherare i disturbi più evidenti e perfino a consumare un pasto senza vomitare. A Cora disse solo che il medico gli aveva diagnosticato una forte gastrite ed era quindi costretto ad un’alimentazione più morigerata; il resto rimase nell’ombra.

Il loro rapporto non era mai stato idilliaco, avevano parecchie divergenze e pochi punti in comune, ma proprio per questo, dopo qualche tempo, erano riusciti a trovare un punto di equilibrio basato sul tacito disinteresse. Se Cora all’inizio si premurava di chiamarlo ogni volta che aveva qualcosa da comunicargli, col passare dei mesi, aveva iniziato a limitare le discussioni agli incontri serali e, anche dopo l’inizio della loro convivenza, aveva cominciato a preoccuparsi sempre meno di avvisarlo quando decideva di andare al cinema con un’amica o di tornare molto più tardi del previsto.

Coppia di innamorati

Dal canto suo, Fausto era passato da una concezione della vita a due ad una sorta di egoismo necessario. Quando passava di fronte alla vetrina di un’agenzia di viaggi, non cercava più le offerte che potessero essere gradite anche da Cora e sempre più spesso si immaginava da solo in un ristorante di New York o su una lussureggiante spiaggia della Thailandia.

Sempre in quel fatidico giorno di Maggio, dopo essere tornato a casa, durante un impeto di rimorsi e false memorie, decise comunque di richiamare la donna.

Ho compreso che mi manchi…” le disse vergognandosi subito di quel tono mellifluo “Lo so che può sembrarti strano, ma la verità è che qui c’è un vuoto e l’unica persona in grado di colmarlo sei tu”.

Non seppe mai quanta verità si celasse nelle sue parole o se esse stesse, in forza della loro carica creativa, fossero latrici dell’unica verità degna di essere presa in considerazione.

L’hai capito? Davvero?” rispose lei dopo una pausa di qualche istante “Chissà come… Ma non importa. Lo sai che ti amo e desidero vivere con te. Tutto il resto non ha alcuna importanza…

Il suo piano (termine quanto mai improprio e azzardato) era quello di rimanere in Italia finché le sue condizioni di salute gli avrebbero permesso di nascondere i sintomi peggiori e di fuggire in un luogo lontano (Indonesia? Brasile? Hawaii? O forse un posto che negli atlanti è indicato solo da un contorno tratteggiato, senza etichette né segnaposti di città…) senza lasciare dietro di se alcuna traccia non appena le avvisaglie della fine fossero divenute eccessivamente insistenti. Cora non avrebbe mai saputo nulla: non era giusto imporle quello strazio, bastava la delusione di aver perso per la seconda e ultima volta colui che si ostinava a definire l’uomo della sua vita.

Proprio per non destare sospetti, Fausto cercava sempre di comportarsi in modo naturale e solo di rado si opponeva alle sue richieste. La prima domenica di Giugno, poco dopo essere tornata a convivere, Cora gli chiese se non gli dispiaceva andare insieme a lei a visitare una sua zia che viveva ormai sola in una grande casa di campagna. Accettò di buon grado, benché non desiderasse affatto essere presentato come fidanzato, compagno, amante o in qualsiasi altro modo. Purtuttavia per reggere la parte che si era prefisso di recitare era necessario anche sottostare alla “normalità” e quella gita fuori porta doveva, per forza di cose, essere assimilata ad essa.

La zia abitava in un grande casale situato al confine tra Lazio e Abruzzo. Non era né una villa, né un’antica residenza nobiliare ma assomigliava piuttosto ad una vecchia fattoria ormai abbandonata, nella quale un tempo, forse, aveva vissuto una famiglia abbastanza benestante, con numerosi dipendenti addetti alle varie mansioni agricole. Dopo svariati decenni, tuttavia, pareva marcescente e priva di ogni cura: “Proprio come me…” pensò Fausto varcando il cancello arrugginito che conduceva nello spiazzo antistante alla casa.

Il terreno emanava un forte odore di pioggia, nonostante il clima fosse decisamente torrido e la terra secca e polverosa. L’erba cresceva ormai in modo disordinato e le poche strutture esterne ancora in piedi: una piccola fontanella, un arco che probabilmente delimitava un gazebo e i resti di un’aia erano completamente ricoperti di vegetazione.

E’ bello qui!” esclamò Cora “Vero? Mi piacerebbe tanto venirci ad abitare un giorno… Io sono l’unica nipote rimasta da queste parti. Prima o poi…” e strizzò l’occhio in cerca di complicità.

Fausto la guardò senza espressione. Era dunque quello il reale motivo della visita. Non un normale interessamento per l’anziana parente, ma piuttosto un piano ben congeniato che, probabilmente, includeva anche lui. L’ipotesi, anche se fantasiosa, lo irritò.

A me non piace affatto” rispose “E’ fatiscente, sporca, isolata e forse non ci arriva neanche l’elettricità. Per non parlare del telefono…

Ci arrivano, ci arrivano… Stai tranquillo” sussurrò la donna “Chiaramente sono necessarie delle opere di ristrutturazione… Lo so, ma non mi permetti di avere un piccolo sogno? Tu non ne hai?

Fausto scosse il capo. Recitare con convinzione quella parte era già un’impresa difficile; mentire spudoratamente gli risultava fin troppo faticoso.

Forse ne ho” aggiunse con fatica “Ma di certo non quello di vivere in una topaia del genere!

 “Ma che ti prende?” sbottò Cora, incapace di comprendere quell’atteggiamento “Perché reagisci in questo modo? Ti ho solo detto che a me piacerebbe vivere qui… Non sono libera neanche di esprimere un’opinione?

Quel misero scambio di battute gli confermò che iniziava a controllare piuttosto male le sue reazioni: “Deve essere un maledetto effetto del mio stato di salute” pensò sforzandosi di essere razionale. Poi, rivolgendosi alla donna con un sorriso, le disse: “Scusami, sono stato proprio insensibile… Comunque ciò non toglie che questo posto mi deprime più di un viale di cipressi!

Cora gli passò una mano sul viso: un gesto più simile a quello della Maddalena che a una vera carezza tra amanti. Si baciarono e, tenendosi per mano, andarono a suonare al vecchio campanello. Un filo elettrico anteguerra correva esternamente lungo il bordo del muro e scompariva all’interno di un buco coperto da ragnatele. Fausto lo seguì in silenzio, immaginando il percorso tortuoso tra polvere e pietre vecchie. In lontananza, solo come una mosca nella navata di un chiesa, echeggiava il ronzio sordo di un cicalino.

La zia venne ad aprire dopo qualche minuto. Era una donna molto anziana, minuta e piegata su se stessa, vestita in modo alquanto modesto, ma lucida e perfino spiritosa.

Cara…” esclamò mostrando la sua bocca sdentata. Poi rivolgendosi a Fausto, aggiunse: “Ho sempre avuto una certa difficoltà a salature la mia nipote prediletta… Sa, dire Cara Cora produce una cacofonia fin troppo sgradevole…

Non preoccuparti zia” rispose sorridendo la donna “Cara è più che sufficiente! Ti presento il mio fidanzato, Fausto”.

L’anziana signora gli strinse la mano: “Potete chiamarmi Caterina. Nella mia famiglia il nome proprio ha sempre contato più d’ogni altra denominazione”.

Fausto annuì, anche se si sentiva in difficoltà: non desiderava affatto passare per “fidanzato”, né tantomeno tentare di raggiungere un certo di livello di confidenza con quella donna, benché osservandola bene capì di avere molte più affinità con lei rispetto alla nipote.

Una volta entrati nella casa, attraversarono due grandi stanze completamente vuote: “Io mi servo solo di un paio di camerette” disse Caterina “Per me questa casa è davvero sprecata. Non so proprio cosa farci… Pensate che qualche tempo fa ho chiesto ad un giardiniere di sistemare il prato posteriore perché desideravo ospitare una pesca di beneficienza, ma alla fine, quando i parrocchiani del paesino seppero che dovevano venire fin qui, dissero al prete che non era proprio il caso… e io rimasi col mio bel giardino curato, in compagnia di tre gatti e altrettanti topi…

Eppure” rispose Cora “Questa casa è davvero bella”.

E’ vecchia!” esclamò la donna rivolgendosi a Fausto “Forse può andar bene per me, ma di certo non per voi due… Ma comunque sai bene che qui tutto è già tuo. Io potrei cedertela anche adesso. Non avrei alcun problema ad andare nella piccola casa di riposo del paese”.

Ma non lo dica neanche per scherzo!” intervenne Fausto “Cora non ha alcun desiderio in proposito. Sì, è vero che continua a tessere le lodi di questo posto, ma dubito che rinuncerebbe così facilmente alle sue comodità…

Cora confermò in silenzio quelle affermazioni e lanciò un’occhiata raggelante a Fausto. Era davvero difficile pensare che il suo desiderio fosse quello di sfrattare anzitempo la zia per trasferirsi lì, e per dipiù dando per scontata la partecipazione di colui che aveva incautamente definito “suo fidanzato”. Per qualche secondo Fausto sentì montare la rabbia: odiava quel tipo di prepotenza mascherata da amore e, in misura ancora maggiore, non sopportava l’idea di essere ingannato come un bambino.

Indipendentemente da quali fossero i piani di Cora, egli desiderava poter decidere di farne parte o di tenersi fuori prima che i fatti determinassero le conclusioni di qualsiasi scelta. Strinse i pugni. In un’altra occasione sarebbe andato via, ma in quel frangente si rese conto di avere in tasca l’agognato asso da giocare nell’ultima partita.

Che creda ciò che vuole…” pensò “Tutt’al più potrà decidere di portare con sé una mia fotografia. Neanche la mia tomba sarà a portata dei suoi occhi…

La zia fece accomodare i due ospiti in un piccolo salottino e si diresse in cucina per prendere dell’acqua e un liquore. Non appena furono soli, Cora esplose come una mina: “Ma si può sapere cosa ti salta in mente? Perché hai detto quelle sciocchezze?

Le mie sarebbero sciocchezze?” rilanciò Fausto “Ma non ti rendi conto che tua zia è convinta che tu voglia buttarla fuori da casa sua?

Ma cosa dici? Cosa?” urlò iniziando a sbattere i piedi per terra “Chi sei tu per sapere cosa desidera veramente mia zia?

Fausto fece un gesto con la mano per placare il suo animo: “Stai calma! Vuoi farti sentire? Ti ho già detto che a me di questa casa non importa nulla, ma ciò non toglie che tu sia libera di fare quello che più ti rende felice!

Già” esclamò Cora “Però a me sembra che tu non sia affatto convinto!

Si, si…” rispose l’uomo con sufficienza “Ne sono convinto, non temere. Ma, per favore, adesso riacquista un po’ di contegno. Siamo degli ospiti… ancora

Cora cambiò nuovamente espressione, ma la zia entrò nel salotto proprio in tempo per evitare un’ulteriore esplosione di improperi.

Ecco qua” disse con voce squillante “Il liquore me lo portano alcuni monaci che lo fanno seguendo ancora la ricetta originale. E’ un ottimo digestivo. Provalo Fausto, sono certa che ti piacerà”.

L’uomo iniziò ad allungare la mano verso il bicchierino, ma Cora lo fermò: “Ti sei già dimenticato della tua gastrite? Vuoi bere a stomaco vuoto?

Il volto sarcastico del primario gli comparve innanzi come un ologramma e, lentamente, riappoggiò la schiena sul divano: “Hai ragione… Ogni tanto, soprattutto quando sto meglio, mi scordo delle indicazioni del medico”.

Anche tu hai qualche problema con lo stomaco?” chiese la zia “Il mio povero marito, lo zio Nicola, alla fine dei suoi giorni ne soffriva… Pensa che non riusciva più a mangiare nulla di ciò che amava maggiormente e questo lo innervosiva più dei dolori. Una volta arrivò perfino a cacciare il medico, uno stupido in fin dei conti, che gli aveva suggerito di essere più controllato nell’alimentazione se desiderava vivere un po’ più a lungo! Che razza di consigli! Quel poverino sarebbe morto meno di una settimana dopo e il medico lo invitava a privarsi dei pochi piaceri che gli erano rimasti…

In quel momento, per la prima volta da quando erano entrati, Fausto si accorse che il salottino era pieno di fotografie di un uomo di mezza età con dei grossi baffi e due occhi scurissimi.

E’ mio zio” disse Cora notando l’attenzione di Fausto verso tutti quei ritratti “Caterina ama sentirsi osservata da lui… Non è vero?

L’anziana donna guardò per terra: “In realtà, mia cara, questo è l’unico modo per non sentire il peso dell’amore impossibile ancora sulle mie spalle…

Vorrai dire ‘per sentire il peso dell’amore’?” tentò di correggerla la nipote.

No, no… Hai capito bene. Lo so che ti può sembrare strano, ma sono certa che quando sarai nelle mie stesse condizioni, capirai anche questo. Per adesso considerala solo la stravaganza di una vecchia…

Ma io lo capisco perfettamente anche in questo momento!” protestò Cora “Quelle immagini ti fanno compagnia… E’ normale! Dopo una vita passata insieme, tu desideri ancora vedere i suoi occhi e ricordare i periodi belli della tua gioventù! Cosa c’è di strano?

Nulla” intervenne Fausto che, sino a quel momento, era rimasto in silenzio “Se non fosse proprio il contrario di quello che ti ha appena detto tua zia…

Ma no!” esclamò Cora voltandosi bruscamente verso l’uomo “Caterina si è sbagliata… E’ evidente!

La zia scosse il capo. In quel banale dibattito sembrava completamente estromessa. Guardò Cora e poi Fausto, in attesa che uno dei due le desse di nuovo la parola, ma la nipote sembrava irremovibile nella sua interpretazione della verità.

Tu pensi davvero” disse rivolgendosi a Fausto “Che un matrimonio durato decenni possa terminare nel ripudio dell’amore che lo fondava?

Ma cosa stai farneticando?” la rimbrottò l’uomo “Non pensi che tua zia sia libera di esprimere le sue opinioni? O desideri spiegarle perfino i suoi pensieri?

Ragazzi, ragazzi!” si intromise Caterina “Non è poi così importante… Perché litigare per queste sciocchezze?

Certo signora” rispose Fausto con tutto il distacco formale che gli era consentito “Ma penso che ormai debba chiarire con sua nipote quello che le ha appena detto…” Poi, rivolgendosi a Cora, aggiunse: “Non mi va che tua zia passi per una… sì, non credo che ormai servano parole di cortesia… passi proprio per una pazza!

Cora divenne rossa in viso e strizzò gli occhi come se volesse meglio inquadrare la sua preda: “Pensi questo di me? Dai, dillo! Mi prendi per una scellerata che desidera dimostrare che sua zia è ormai fuori di testa? Non temere! Dopo quello che hai detto, qui non si scandalizza più nessuno!

Calma!” esclamò la donna, ormai stanca di quell’inutile battibecco “Ripeterò in modo più completo quanto ho già detto. E tu, Cora, non temere… Nessuno ha mai pensato che tu avessi quelle intenzioni. Né io, né tantomeno Fausto. Stai tranquilla. Qui sei a casa tua!

I due ospiti annuirono rimanendo in silenzio. La situazione che si era venuta creando era una vera e propria rappresentazione dell’assurdo: uno sparuto gruppo di spettatori assisteva alla recitazione forzata di un dramma mai scritto e l’unica attrice era stata buttata giù dal letto e spinta in malo modo al centro del palcoscenico senza alcuna motivazione. Fausto abbassò lo sguardo scuotendo la testa: “Perché mai mi trovo nel mezzo di questa situazione?” continuava a ripetersi sperando che Cora intervenisse per porre fine a quell’irreverente paradosso dimostrativo, ma d’altronde era stato lui stesso a pretendere una spiegazione per riabilitare quell’anziana signora che conosceva appena e ormai non poteva più tirarsi indietro. Respirò a fondo e chiuse gli occhi.

Caterina, come se nulla fosse, si rimise a posto una ciocca bianca che le scendeva sulla fronte e iniziò a rispondere alla richiesta di Fausto: “Quando tuo zio morì, Cora, per me fu un bruttissimo colpo. Mi ero sposata a vent’anni e dopo un’intera vita trascorsa a fianco di mio marito, ritrovarmi sola in questa casa mi mostrò una voragine enorme che mi spaccava letteralmente in due. Non c’è nulla di strano in tutto ciò, s’intende, qualsiasi donna che rimane vedova nella vecchiaia non può che scoprirsi nuda nel bel mezzo di un temporale…

Ma io, in più, vivevo completamente isolata e non potevo concedermi, benché ne avessi tutto il tempo, alcuno svago. Certo, avrei potuto vendere questa casa e trasferirmi in paese, ma alla mia età era un impegno che non sentivo di sobbarcarmi. Così rimasi sola e ogni cosa prese la forma di tuo zio.

Lui dava un senso ad qualunque mia azione, a ciascun pensiero e perfino alla malinconia della vita; così, quando iniziai a sentire solo l’eco dei miei passi, compresi di essere come una perlina affondata nella sabbia. Nulla era più ragionevole: svegliarsi la mattina era uno sforzo inutile, preparare la colazione, vestirmi, curare le piante, attendere che Angelina mi portasse la spesa e mi aiutasse nelle faccende domestiche, tutto era ormai spogliato del suo senso.

Mangiavo solo per non cadere malata e spolveravo solo le due stanze dove vivevo. Certe volte, con lo strofinaccio in mano, mi veniva sonno… Alla mia età! Dormo non più di quattro ore per notte e desiderare di farlo la mattina mi faceva sprofondare nei sensi di colpa. Per cosa, poi? Anche questo risultava al di là di ogni mia possibile spiegazione. L’inconcludenza in cui ero precipitata mi atterriva e alla mancanza della spinta vitale, si univa il disagio di constatare quanto misera fosse ormai la mia condizione. Di fronte allo specchio non ero solo una vecchia: mi sentivo altro…

Altro che non capivo e che sembrava succhiare le poche energie che mi erano rimaste. Credetti di diventare pazza… Angelina continuava a ripetermi che mi sarei dovuta decidere a trasferirmi, ma io facevo finta di non ascoltarla, finché…   Finché capii di non farcela più. Successe una sera di Novembre, poco dopo il tramonto. Avevo finito di mangiare della verdura e una mela, lo ricordo come se fosse stato ieri, e sentii un’angoscia asfissiante invadere ogni angolo del mio corpo.

Mi lasciai andare sulla poltrona in cui sei seduta adesso, Cora, e provai a piangere. Non ci riuscii. Era privo di senso anche quel gesto… O forse i miei occhi si erano ormai rinsecchiti. Non ha molta importanza. Quello che conta è che ebbi paura. Una paura folle… senza capirne il perché. Senza rendermene conto, mi alzai e salii al piano di sopra, in camera da letto.

Mi sentivo stanca, dannatamente stanca. Osservai il letto disfatto ma non provai alcun desiderio di dormire. Era un altro il letto che mi chiamava… Aprii la porta finestra convinta che fosse giunto il mio momento, ma proprio mentre stavo per uscire nel balcone, vidi una piccola foto che ritraeva me e tuo zio.

Puoi non crederci, ma in quel preciso istante mi arrestai e compresi quanto stupido fosse stato il mio proposito. Mio marito, da dietro un vetro ingrigito dagli anni, era riuscito a denudare il mio non-senso che, permettetemi di dirlo senza troppi giri di parole, non poteva che essere il puro non-senso dell’amore…

Lo vidi ritto accanto a me, sorridente, con la sua pipa in bocca e gli occhi spiratati e scoppiai a ridere. Richiusi la porta finestra e tornai di sotto. Quella sera stessa recuperai tutte le fotografie seppellite nella polvere e le posizionai in ogni angolo: ovunque girassi la testa c’era sempre lui a dire sì o no ai miei stati d’animo…

Mi rendo conto che sembra il racconto di una pazza, ma non si può amare un morto! Non si può, Cora. A meno di non gettarsi dal balcone… Si può ricordare, certamente! E il ricordo sarà vivo, capace di battersi con te, di frenare gli impeti o di spingerti all’azione, ma amare no. Un amore spezzato sanguinerà senza posa e ogni parola rivolta a chi prima ti era accanto correrà in un immenso spazio vuoto, senza mai trovare chi la raccolga e la rimandi indietro”.

Al termine di quella narrazione, Caterina chiuse gli occhi e sembrò ritirarsi nelle sue memorie, mentre Cora, rilasciandosi sulla schienale della poltrona, si voltò verso Fausto e, senza alcuna remora, mormorò: “Patetica…

L’uomo, trovandosi nel mezzo di una disputa silenziosa, colse la palla al balzo e rispose: “Bene, credo che adesso sia tutto chiaro. Condivido ciò che è stato detto. E’ veramente dura continuare ad amare qualcuno che non può più materialmente ripresentarsi” e si voltò verso Cora per cercare di convincerla a mollare quella presa inutile.

La zia, ritornata in sé, tolse entrambi d’impaccio: “Perché adesso non fate una passeggiata nel retro? Cora lo conosce bene, ci si perdeva spesso quando veniva qui da bambina!

Ma certo!” esclamò Fausto “Mi sembra un’ottima idea”.

Sì, facciamo quattro passi…” fece eco svogliatamente la donna alzandosi e indicando a Fausto la strada.

Il giardino posteriore era molto più curato e accogliente di quello che si estendeva di fronte all’ingresso, come se Caterina avesse voluto tenere per sé il suo piccolo angolo di Paradiso lasciando che i visitatori confermassero quanto squallida e malconcia fosse la tenuta.

Dietro tre grandi porte finestre, c’era un’ampia area mattonata, con una pensilina in stile liberty e tre tavolini di ferro battuto. Al di là di essa iniziava il giardino, con sentieri, aiuole, alberi e rovi. Sulla destra, nascosta da un cespuglio, si trovava anche una fontana con acqua corrente e decine di pesciolini rossi. Fausto si sentì catturato dalla semplice bellezza di quell’ambiente e si pentì di aver detto frettolosamente che odiava la casa.

Sembra proprio un’altra villa…” disse rivolgendosi a Cora “L’ingresso è deprimente, ma qui è incantevole. Ci passerei delle ore”.

Eppure poco fa dicevi l’esatto contrario…” replicò lei con un tono piccato.

L’uomo la bloccò: “Senti, io non so cosa ti è preso, ma il comportamento con tua zia è stato assolutamente deplorevole… Insomma, ma cosa t’importa se lei la pensa diversamente da te?

Cora si fermò dandogli le spalle, i suoi capelli castano chiaro brillavano al sole e un leggero vento li scompigliava per poi lasciarli riadagiare al loro poso.

Io non ho proprio nulla contro di lei” rispose voltandosi e svelando il suo viso chiaro e gli occhi brillanti “Ma proprio non capisco come si possano dire certe cose… Insomma, se io dovessi perdere la persona che amo di più, ovvero te, terrei le tue foto per ricordare il nostro amore, non per esorcizzarlo! E’ proprio assurdo…

Fausto non rispose. Quell’affermazione aveva risvegliato in lui un demone sopito. Si toccò involontariamente lo stomaco e provò una fitta lancinante. Per quanto tempo avrebbe potuto continuare a nascondere la verità a quella donna? Il medico parlava di massimo dodici mesi, ma i sintomi si sarebbero aggravati e allora non ci sarebbero state più possibilità di nascondere la realtà. Ma non era proprio questo ciò che egli aveva desiderato? Se lo chiese, mentre un leggero conato di vomito iniziava la rappresaglia contro di lui.

Appena rientriamo in casa, prendo le medicine” pensò seguendo Cora all’interno di un piccolo pergolato che segnava il confine tra il giardino e il prato aperto.

L’atmosfera sembrava rarefatta e sospesa in un tempo vergine. Voltandosi, vide il profilo maestoso della casa e provò un acutissimo senso di inferiorità. Quelle pietre lo avrebbero visto morto e poi ne avrebbero accolto le carni putrescenti. Le sue braccia, che forse un giorno avevano eretto quelle pareti, piantato gli alberi, curato le siepi e la veranda, sarebbero state risucchiate dalla terra, mentre l’opera della sua fatica avrebbe continuato a esistere per chissà quanto tempo.

Scosse la testa e l’istante presente tornò docilmente al suo posto. Cora era andata avanti, scomparendo dietro alcuni alberi. Affrettò il passo, e il dolore, incessante sino a poco prima, svanì insieme ai pensieri malinconici.

Si addormenta” disse tra sé “Tanto sa bene di avere lui la scena… Maledetto!

Superò un grosso cespuglio e vide che Cora lo attendeva con le braccia conserte appoggiata al tronco di un albero: “Venivo spesso qui. Non ci ho mai visto nessun altro: è una piccola oasi protetta dagli sguardi indiscreti…

Foresta al tramonto

Sì, me ne sono accorto. Ha fatto bene tua zia a invitarci a fare una passeggiata”.

A me non va di fare una passeggiata” replicò Cora sorridendo “Da bambina questo luogo era la culla di tutte le mie fantasie. Venivo qui e sognavo. E non era affatto come farlo in casa… Tra questi alberi non c’è nulla di artefatto e il silenzio non è voluto. C’è, e ci si ritrova dentro di esso senza nemmeno volerlo. Non ti pare?

“Sì, capisco cosa vuoi dire” rispose Fausto “Credo di aver provato anch’io la stessa sensazione…

Facciamo l’amore?” lo interruppe la donna.

Adesso?

Certo! Ti ho detto che qui non ci viene mai nessuno… Si è più isolati che nella propria camera da letto!

Fausto non amava la bizzarria di simili proposte, ma capì di non essere più nelle condizioni di poter rinunciare a cuor leggero salvo poi realizzare con sgomento che tutte le possibilità erano mutate in silenziose statue di sale.

Si avvicinò a Cora, la abbracciò e iniziò a baciarla sul collo. Ben presto realizzò di essere eccitato e si lasciò cadere sul manto erboso ancora umido. Fece l’amore come un ragazzino impaurito, costantemente minacciato dalla presenza di persone a cui era stato concesso il privilegio del giudizio. L’idea aumentò vertiginosamente la forza emotiva legata a quei gesti e, in pochi minuti, si ritrovò ad ansimare esausto tra le braccia morbide della sua compagna.

Mi sembrava di svenire…” le disse sottovoce.

Già” rispose Cora baciandolo sul petto “Eri eccitatissimo, lo sentivo. Ti ho detto che questo posto è magico… Dunque avevo ragione”.

In un momento diverso avrebbe controbattuto cercando di spiegarle che il luogo non c’entrava nulla o, perlomeno, non in senso esclusivo. Era lui a essere ormai fin troppo sensibile al potere immenso della soggezione morale e, il sol fatto di correre un minimo rischio, risvegliava il potere indomito della paura. Essere cosciente di aver perso il controllo della sua vita (se mai ne era stato in possesso) lo rendeva minuscolo di fronte all’ineluttabile ma, nel contempo, gli donava la spontanea beatitudine del godimento più selvaggio, meno imbrigliato nella logica tortuosa dell’uomo civile. Era quello il lato “buono” della morte: si muore solo dopo che, per un brevissimo istante, la vita si è concessa senza interdizioni, senza che nessuno, di fronte all’agonizzante, abbia il potere di alzare l’indice e puntarlo.

Dio, il Paradiso e tutte le altre sciocchezze” pensò richiudendosi i pantaloni “Sono state tirate a lucido per servire a questo scopo… inutilmente”.

Quando rientrarono in casa, Caterina aveva già preparato la tavola, servendo lasagne alla bolognese e coniglio al forno. Fausto, con la scusa di lavarsi le mani, andò in bagno e prese di nascosto le sue medicine, mentre Cora posava lo sguardo su ogni fotografia cercando di notare quali fossero le vere differenze tra l’una e l’altra.

Sedetevi, prego” disse la zia non appena tutti fecero ritorno nella camera da pranzo.

Quanto cibo!” esclamò Fausto “Non credo proprio di riuscire a finire tutto…

Non sapevo che la gastrite facesse passare l’appetito” rispose Cora “Ma in effetti, da un po’ di giorni a questa parte, sei molto diverso… Prima mangiavi molto di più. Comunque meglio così…

Fausto annuì evitando ogni sguardo e ingoiò il primo boccone di lasagne.

Devo chiederti un favore” disse Caterina rivolgendosi a Cora “Una cosa che forse non ti piacerà ma che spero tu possa fare lo stesso”.

Ovvero?” chiese la donna con ancora la bocca piena.

Tua cugina. Tua cugina Irene”.

Irene? Ma non vive a Londra?

Viveva in Inghilterra” rispose Caterina scuotendo la testa “Sino a quasi tre mesi fa… Poi credo che abbia avuto dei guai con la giustizia. Problemi legati alla politica, credo… E quindi, come puoi immaginare, è tornata qui. Prima è stata a Milano, poi a Firenze e alla fine ha bussato alla mia porta. Io sto cercando di aiutarla, ma i miei mezzi sono scarsi, e ciò mi causa ancora più disagio… Com’è brutto essere impotenti quando la cosa che si desidera di più è rinunciare a ogni vantaggio pur di aiutare chi ti sta a cuore! Credetemi, è davvero la peggiore sensazione che si possa provare…

Certo” mormorò Cora. Poi, rivolgendosi a Fausto, con notevole spavalderia, aggiunse: “Irene è sempre stata una perditempo che ha mascherato con la politica ogni sciocchezza… Una fanatica che era pronta a manifestare per i diritti dei cani, dei barboni, degli operai e perfino del treponema della sifilide!

Fausto sorrise, ma Caterina abbassò gli occhi di fronte a quella verità così cruda.

Non essere così categorica con lei” la pregò la zia rialzando improvvisamente la testa “Irene ha commesso tanti errori, ma l’ha fatto in buona fede e, a dire il vero, non hai mai chiesto nulla”.

Forse a te…” sbottò Cora alzandosi di scatto e uscendo con villania dalla sala da pranzo.

Durante il periodo universitario, lei e Irene avevano iniziato a frequentare la stessa facoltà: economia e commercio. Tuttavia, mentre Cora studiava con una certa passione, Irene preferiva impegnarsi nei comitati, nelle manifestazioni e in qualsiasi altra attività che servisse da alibi per gli scadenti risultati accademici. Leggeva qua e là le pagine di un libro e poi si presentava all’esame con la baldanza di una veterana; non appena il professore la invitava a riprovare in una sessione successiva, lei iniziava spesso ad insultarlo e a chiamarlo “fascista”.

Chiaramente il risultato fu ben presto disastroso, ma in compenso Irene era l’unica persona in grado di sostenere ogni possibile causa persa. Una volta uno studente con una massa di capelli che quadruplicava il volume della testa andò ad una lezione portando in tasca il suo piccolo criceto. Purtroppo per lui, poco dopo l’inizio delle attività, il roditore era scappato e aveva iniziato a vagare nel lungo corridoio dove si aprivano le porte delle aule.

Un bidello, ignaro che si trattasse di un animale domestico, scambiandolo per un topo, l’aveva inseguito con una scopa e, dopo averlo tramortito, l’aveva inavvertitamente spinto nella fenditura di un tombino. L’episodio fece subito il giro della facoltà e molti ne risero senza alcuna pretesa; l’unica persona a considerare la “gravità” dell’accaduto fu Irene. Immediatamente chiamò il capellone disperato e organizzò una manifestazione a difesa dei diritti dei “piccoli animali”.

Quando Cora la incontrò, in un locale che gli studenti usavano come “ritrovo politico”, non riuscì a trattenere la sua esuberanza e le chiese di fronte a tutti se in quel gruppo di derelitti potevano essere ammesse anche due mosche che aveva visto con i suoi occhi scacciare in malo modo. Irene era esplosa, definendola una “sporca capitalista” (falsità quanto mai grottesca) e, non paga della figura barbina che già aveva fatto, era corsa a prendere una ramazza e aveva colpito alle spalle la cugina urlandole: “Ti piace essere trattata come quel povero criceto? Sì?

Da quel momento i rapporti si incrinarono irreversibilmente. Cora ricevette delle scuse di cortesia, ma l’atteggiamento di Irene non mutò e un giorno quest’ultima, entrata di nascosto in camera della cugina, rubò due collanine e un paio di orecchini e mise al loro posto un foglietto di carta con su scritto “Assegno sociale”. Dopo di ciò sparì e per lungo tempo non si seppe più nulla di lei.

Cora non le ha mai perdonato il suo atteggiamento” disse sottovoce Caterina rivolgendosi a Fausto.

Già… Ma adesso cosa dovrebbe fare per sua cugina?

Non ne ho idea” rispose l’anziana donna “Forse aiutarla a ritrovare un certo equilibrio qui… Magari segnalarle qualche opportunità di impiego. Evitarle perlomeno di ricadere nelle stesse trappole che già un tempo le hanno distrutto il futuro…

Cora rientrò nella sala da pranzo pochi attimi dopo. Si scusò per il suo comportamento e ritornò a tavola.

Il pensiero di Irene mi manda in bestia” esclamò “Non posso farci nulla. Quel suo modo di cavarsela alle spalle degli altri… Tutte quelle idiozie di politica! No! Mi viene il voltastomaco solo a ricordarle…

Ormai è diverso” mormorò Caterina “Il tempo passa per tutti…

Ma se mi hai appena detto che è stata espulsa dalla Gran Bretagna per un furto politico?” esclamò Cora stringendo i pugni “Magari un altro pagamento con assegno sociale, non è vero?

Fausto non si sentiva parte in causa, non conosceva nemmeno quella donna, ma non poteva neanche rimanere in silenzio. Proprio come era accaduto quella mattina, si sentì in dovere (salvo pentirsene subito dopo) di intervenire in quella disputa.

Cora, lascia che le parli io… Se capisco che è ancora invasata, te lo riferirò e tutto terminerà lì. Ma se…

Al diavolo il ‘se’!” urlò la donna “Non esistono i ‘se’ con Irene! Tu non te ne rendi neanche conto!

Ascolta…” tentò di continuare Fausto.

D’accordo. D’accordo… Non m’importa” rispose Cora abbassando bruscamente il tono della voce “Se proprio ci tieni a fare il buon samaritano, Caterina ti darà il suo numero di telefono. Non posso dissuaderti… Ma non portarla da me! Capirai ben presto che razza di persona hai di fronte”.

La discussione terminò senza ulteriori scambi. Fausto avrebbe contattato Irene per cercare di capire quale fosse la sua reale situazione e Cora, dal canto suo, avrebbe continuato la sua vita, perché in fondo, tra i due, l’unica persona a cui era concesso di usare indiscriminatamente il verbo “continuare” era purtroppo soltanto lei.


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