Il dubbio sulla soglia dell’inferno

C’è una ragione particolare per la quale al centro della famosa Porta dell’Inferno di Rodin (1840 – 1917) campeggia una miniatura della sua famosissima statua che personifica il dubbio? Non è forse questa condizione esistenziale che vive nell’etereo non aggrapparsi a nulla (e quindi “al” nulla), la forma più evidente di fuga autentica da ogni artiglio di dogmatismo?

La Porta dell'Inferno di Auguste Rodin sulla cui parte superiore è presente una miniatura della statua del dubbio
La Porta dell’Inferno di Auguste Rodin sulla cui parte superiore è presente una miniatura della statua dell’uomo che pensa, personificazione del dubbio.

L’evidenza è molto più esplicita delle spiegazioni: il dubitante è colto dall’avvento dei nebbiosi archetipi che mostrano l’insicurezza non come un declino del sé, ma piuttosto come concreta possibilità di porsi di fronte alla più genuina realtà.

A differenza di Sisifo che, condannato all’incompletezza, diviene il simbolo della frustrazione (che tuttavia, non cede mai allo scoramento), il dubbio sembra godere del momento in cui, quasi giunto in cima al monte, è spinto nuovamente giù, per ricominciare una nuova ricerca. Non è tutto ciò la simbolizzazione dell’entrata stessa nell’inferno?

Osservando, infatti, la dimensione esoterica del viaggio dantesco (riconducibile a quanto prescritto dal motto alchemico V.I.T.R.I.O.L.Visita Interiora Terrae et Rectificando Invenies Occultum Lapidem), l’uomo varca una soglia ove la speranza deve essere abbandonata. Ma quale speranza, esattamente? Proprio la speranza nella certezza!

Ecco che il dubbio, seppur in forma negativa, si presenta già prima di iniziare il cammino. Un vento suadente che accompagna il visitatore in un percorso di presentazione e scoperta dell’oscurità, dell’ignoto o del capovolgimento della convinzione.

Dante dubita quando vede e ascolta Ulisse, dubita di fronte a Paolo e Francesca, dubita e si commuove osservando il grottesco volto di Ugolino porgli in tutta franchezza l’evidenza del dilemma che il dogma ha la pretesa di schiacciare sotto il suo peso “riempito” dai corpi di streghe ed eretici. Ma Dante non chiede di essere dispensato dal viaggio verso il basso: lo compie in quanto necessario per poter poi risalire e osservare tutto con occhi non più soggetti all’inganno.

Sembra quasi che l’ultimo suo slancio verso l’estrema percezione, quella luce che si limita ad abbagliarlo, sia frenato proprio dalle immagini infernali che rimodulano tutto, che riportano ordine nell’assurdo mettendo di nuovo l’uomo al centro della speculazione.

Il dubbio è essenzialmente ed esistenzialmente, “esistenza” nel senso più autentico del termine. Nel cammino frammentato in istanti che si limitano ad specchiare un frammento infinitesimo di tempo, l’uomo non può non dubitare, così come non può non carpire aria all’atmosfera. Il rifugio nel dogma, nella certezza senza alcun fondamento, nell’assurdo vestito da morale “ispirata”, si cela solo l’illusione che, beffarda, ride delle sue vittime e si prepara a divorarle come il Lucifero dantesco.

Solo il dubbio, quale unica certezza del pensiero, può garantire quell’immunità dal giogo del vero e del falso: quella dualità che, prima si auto-crea e poi chiede all’uomo di distruggerla, e di passare quindi i suoi giorni come uno spartiacque che separa due flussi per poi vederli di nuovo uniti nell’oceano.


 

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