La musica del novecento: il vero padre delle opere dei nostri giorni

La musica, come d’altronde tutte le arti, è un processo storico. Ciò che possiamo ascoltare oggi acquista un significato solo grazie a ciò che è stato composto e suonato non soltanto ieri, ma in tutto il tempo tra il medioevo e ieri. Purtroppo, per ragioni alquanto strane, la conoscenza della cosidetta musica “colta” (termine che personalmente non amo affatto) si concentra in un arco di tempo che copre in modo completo il barocco, il classicismo e il romanticismo. Già, a partire dal periodo che va dalla fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, molti autori iniziano ad assottigliare le trattazioni e lasciano al lettore/ascoltatore l’onere di approfondire cosa è accaduto dopo.

La musica del novecento di Paul Griffiths
La musica del novecento di Paul Griffiths è un testo che si concentra in modo mirabile su questo secolo, senza escludere alcun compositore o esecutore particolarmente carismatico.

Il XX secolo: la corsia d’accelerazione per la musica e per ogni altra disciplina

Tuttavia, il novecento, lungi dall’essere un periodo poco prolifico, è forse molto più attivo e rivoluzionario di quanto si possa immaginare. In tutti i settori della conoscenza umana, il progresso, passato attraverso gli orrori di due guerre mondiali, ha acquisito energia e accelerato in modo esponenziale. Scienza, tecnologia, medicina, etc. insieme ovviamente all’arte, hanno mutato il loro aspetto diverse volte, adattandosi alle novità e facendo di queste nuovi trampolini di lancio per la ricerca di ulteriori spunti.

Un tributo scientifico alla musica moderna

Paul Griffiths, nel suo libro “La musica del Novecento“, ha voluto dedicare tutti i suoi sforzi a questo secolo pieno di contraddizioni attraverso una serie di analisi sempre ben focalizzate su un particolare momento o su un fenomeno che iniziava a farsi strada. Dal tardo romanticismo di Debussy e Satie, egli inizia un cammino che passa attraverso l’influsso della cultura jazz in Europa, la nascita di correnti espressioniste e atonali (ad opera di Schoenberg, Berg e Webern), la diffusione di nuovi media (come la radio), l’esplosione della musica pop, il neoclassicismo (a opera principalmente di Stravinskij), le avanguardie, il futurismo, gli esperimenti con i primi strumenti elettronici e così via, sino quasi ai nostri giorni.

Da una parte la notte, dall’altra il giorno

Se, infatti, da una parte il novecento è stato un secolo di instabilità socio-politica, con una prima metà che ha assistito alla catastrofe della Grande Guerra e alla decimazione delle famiglie (incluse quelle di molti compositori prematuramente scomparsi in battaglia), all’insorgere di regimi totalitari e ideologicamente isolazionisti e belligeranti, sino all’apoteosi della seconda guerra mondiale e al riassetto della struttura del vecchio continente, il novecento ha anche saputo fare da crogiuolo dove i frutti dell’intelletto hanno preso nuove forme.

La musica, grazie anche alla sua capacità di intrattenimento, non ha ceduto alle pressioni di una condizione sociale instabile e, anzi, ha tratto i suoi spunti anche dalla realtà più cupa, mutando d’aspetto e cercando sempre nuove vie d’espressione. Nonostante molti compositori avevano iniziato a spostarsi da Parigi (che, a sua volta, era divenuta il centro musicale per eccellenza insieme a Vienna) agli Stati Uniti, considerati la terra della novità e, quindi, delle opportunità, in quasi tutti i paesi, l’attività musicale era fervente e concentrata su aspetti particolari.

Cosmopolitismo musicale: i primordi di una globalizzazione razionale

Gli stati slavi, prima quasi del tutto isolati culturalmente, avevano scoperto, soprattutto, con Bartók e Dvořák, un patrimonio di musica popolare degna di essere valorizzata. La neonata Unione Sovietica, pur essendo basata su un regime chiuso, dava ampio spazio agli eventi culturali sperimentali, consideranti (almeno fino all’ascesa di Stalin) simbolo di progressismo. E, ovviamente, gli Stati Uniti, con la loro attitudine ad accogliere migranti da tutte le parti del mondo, avevano spalancato le porte alla genialità di compositori che, liberamente o costretti dal regime nazista, avevano abbandonato l’Europa per trovare rifugio tra le luccicanti strade di New York.

Questa commistione di generi, stili, condizioni sociali e personali, non ha potuto che dare una spinta propulsiva al desiderio di provare nuove attività creative, basate sia sui vecchi strumenti che sulle nuove combinazioni tipiche del blues e del jazz (e.g., ensemble di ottoni) e sulle straordinarie possibilità offerte da “generatori di rumori” e sintentizzatori primordiali. Era ormai tempo per credere nel futurismo, per lasciarsi alle spalle un passato che non attirava più gli spettatori e, finalmente, reinventare un modo di esprimersi che rifletteva la realtà corrente.

Conclusioni: il XX secolo è il terreno dove ancora poggiamo i piedi

Non posso nascondere il mio amore per questo periodo (che ho in parte vissuto), ma, al di là delle proprie inclinazioni, credo che un vero musicofilo non possa tralasciare l’immenso patrimonio che questo secolo ha donato. Inoltre, come già detto in precedenza, non è possibile capire il presente, con il suo dominio della canzone pop, senza passare attraverso la miriade di esperimenti che hanno coinvolto, non solo i compositori della cosidetta scuola di Darmstadt (in particolare, Stockhausen), ma anche quelli che hanno fatto ampio uso dello studio di fonologia della RAI di Milano (come Berio, Maderna, Nono, Cage, etc.).

Inoltre, il XX secolo è stato anche il secolo che ha ridato energia alla forma musicale apparantemente più semplice, ovvero la canzone. Mentre i Lieder diventavano sempre meno attraenti e l’opera si basava su strutture molto più complesse, le canzoni basate su nuove sonorità e testi di vario genere, offrivano lo spunto per l’intrattenimento ideale. Tuttavia, senza le sperimentazioni elettroniche, unite alle correnti musicali americane, africane e, in parte, anche asiatiche, non si sarebbe potuto arrivare a una piena emancipazione di ciò che, pochi decenni prima, era percepito quasi come un’offesa all’udito.

Quindi, consiglio a tutti i miei lettori questo libro e spero che i più restii possano convincersi che perfino gli sforzi più stravaganti sono stati basati su una genuina voglia di dare all’arte un contributo originale e basato sulla realtà (con i suoi pro e contro) che circondava ormai ogni uomo del mondo civilizzato!


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