Commedia contemporanea (Parte V)

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Parte V

Mentre Irene si faceva la doccia, a Fausto venne in mente che tentare un contatto pacifico con l’ambulante derubato non era una cosa da prendere troppo alla leggera.

Cosa gli dirai? E se lui reagisce male? Secondo me, forse è meglio lasciar perdere…” esclamò mentre la donna si vestiva.

Irene non badò a lui, continuò a prendere gli indumenti come se nulla fosse: “Stai tranquillo” rispose “Dirò che era una stupida scommessa tra me e te. Io ti ho istigato per vedere sino a che punto mi amassi. Non è una bella scusa?

Sino a che punto…?” ripeté Fausto come se quelle parole fossero state pronunciate in una lingua sconosciuta.

Oh! Frase impegnativa, vero? Ma non temere… E’ solo una banalissima scusa!

Dopo di ciò, senza aggiungere altro, lo baciò sulla guancia, prese la collanina e uscì.

Ritratto fotografico di uomo che mostra un certo nervosismo

Nonostante la rassicurazione della donna, Fausto non riusciva a darsi pace. Iniziò a fare su e giù per la stanza calcolando mentalmente il tempo di percorrenza per raggiungere la bancarella: “Sempre se la troverà. Che stupidi siamo stati! A quest’ora avrà sbaraccato tutto. Sarà solo una perdita di tempo… Ma no! Se lei ci è andata, forse, è perché sa che quel disperato sta tutto il giorno lì; magari l’ha già vista…

Quell’ultima supposizione gli mise un tarlo in testa e lo costrinse a cercare una conferma tra i pochi gioielli che Irene teneva in un cassetto del comodino. Li tirò fuori tutti e iniziò a scrutarli uno per uno: un anello con un diamantino, due paia di orecchini molto vistosi, una collana di perle probabilmente finte e tre braccialetti con motivi indiani. Nulla che aveva visto in quella magra esposizione.

Non è detto che deve aver necessariamente comprato qualcosa…” pensò “In fondo quella paccottiglia non valeva un centesimo”.

Si rialzò e andò alla finestra. Lo stomaco gli faceva male e un rigurgito acido non smetteva di tormentargli la gola. Prese una pillola e iniziò a contare le persone che vedeva passare nella stradina antistante. Arrivò con difficoltà a quattro, mentre le ultime luci della sera si offuscavano in un estremo sprazzo rossastro. Irene non tornava.

Che sciocchezza ho fatto!” disse tra sé “E perché lei si è prestata a metterci una pezza con tanta disponibilità? Anche Cora si sarebbe comportata allo stesso modo? No, no… Decisamente no! E quindi cosa dovrei dedurne? Che Irene mi vuole bene? Che le faccio pena? O magari che lei conosce l’ambulante? Non ci sarebbe nulla di strano… Conoscendo il tipo, è possibile pure che abbia cercato di battersi per i suoi diritti!

I pensieri si affollavano nella sua testa, ma se essi nascevano con straordinaria facilità, con estrema difficoltà si avviavano alla morte. Nel giro di un quarto d’ora s’innervosì così tanto da non riuscire più a stare fermo. Le gambe gli tremavano, le mani sudavano e i dolori addominali divenivano sempre più acuti. Mentre osservava il retro di un’autovettura scomparire dentro un vecchio garage, il rigurgito ebbe la meglio e Fausto riuscì a malapena a raggiungere il bagno per non vomitare sul pavimento.

La macchia opaca di sangue vischioso lo guardò senza espressione.

Una parte di me che poco fa era stata ospite nel profondo del mio cuore…” esclamò sentendo un brivido risalirgli dal petto alla fronte “E adesso sembra soltanto uno schifosissimo scarto di porcile!

Si lasciò andare sulla poltroncina e chiuse gli occhi. Perché il rimorso trovava strada nel dedalo costruito dalla sua stessa legge? Quel piccolo furto era stato necessario e se adesso temeva per Irene, la ragione doveva essere ricercata altrove. Ma dove? Nell’amore? Nella volontà di protezione? Nel senso di giustizia? Ma poi, se anche conservasse una consapevolezza residua di giustizia universale, quale diritti essa poteva ancora vantare sulle sue decisioni? Quando aveva posseduto la ragazza, benché accondiscendente, la pantomima che aveva messo in scena trasportava il senso di un messaggio ben diverso. L’eccitazione non mente e il piacere che aveva provato poteva forse essere condannato dagli invidiosi, ma certamente non sarebbe mai stato possibile adulterarlo. Esso viveva della sua stessa genuinità e solo gli scellerati potevano ostinarsi a credere che affidare a terzi il giudizio delle loro azioni li avrebbe sgravati della responsabilità di essere essi stessi gli artefici insostituibili di ogni valutazione.

Ancora inerpicato lungo i declivi dei suoi ragionamenti, Fausto udì il movimento della serratura. Alzò lo sguardo come se si fosse risvegliato all’improvviso e vide di fronte a sé Irene. La donna pareva trafelata e sconvolta; non appena ebbe inquadrato bene la situazione, si avvicinò e lui e, senza permettergli di parlare, esclamò: “Torna a Roma. Qui non è sicuro per te!

Fausto scattò in piedi e le andò incontro urlando: “Ma cosa ti è successo? Hai avuto problemi con l’ambulante? Dimmelo, per favore!

No, non ho avuto alcun problema, ma devi tornare a Roma. Fammi questa cortesia, qui non puoi più restare. E’ meglio per entrambi”.

Vado via! Vado via!” rispose l’uomo gettando in aria una camicia appallottolata sopra il letto “Ho capito che non mi vuoi qui, ma almeno dimmi il perché! Voglio sapere cosa è successo quando hai restituito la collanina!

Irene si sedette e poggiò la testa sulle ginocchia: “Nulla” mormorò “Non è successo nulla di grave, ma non è sicuro per te restare qui. Torna a Roma. Se il ragazzo ti trova, potrebbe finire male…

Ma allora ti ha minacciata!” esclamò Fausto andando verso di lei per cercare di abbracciarla “Per favore Irene! Dimmi com’è andata! Non mi perdonerei mai se t’avesse fatto del male!

Torna a Roma, Fausto” rispose lei senza alterare il tono della voce “Non mi è successo nulla, ma fino a ieri neanche ci conoscevamo… Fai finta di non avermi mai incontrata e torna a Roma. Mi dispiace sinceramente per quello che ti sta accadendo, ma non posso fare nulla. Nulla. Nulla. Torna a Roma. Non è sicuro per te restare qui”.

Fausto raccattò le sue poche cose, si riassettò i capelli scompigliati e uscì senza aggiungere altro. Per strada spirava un leggero venticello estivo e le poche luci artificiali si accompagnavano ad un silenzio che perdurava senza sosta dal mattino sino a notte fonda.

Non riusciva a credere nell’accaduto. Perché Irene lo aveva scacciato in quel modo? Cosa era successo realmente con l’ambulante? Era stata picchiata? Minacciata? Non poteva tornare a Roma senza prima essersi sincerato che la donna non corresse alcun pericolo: sarebbe stato un gesto vile, visto che in fin dei conti era stato lui a causare quel pasticcio.

No!” pensò sedendosi su uno scalone “Aspetterò qui! Prima o poi Irene uscirà o forse verrà a chiamarmi. Non è possibile che sia così insensibile. Quando abbiamo fatto l’amore, mi è sembrata più che mai sincera. No, no… Sarà stata costretta da quel bastardo! Per paura delle sue minacce. Non ha scuse quell’idiota! Quella collanina non vale nulla: gliela potrei pagare senza neanche guardare la cifra! Perché prendersela con Irene? L’aspetterò qui…

Il tempo passava e la sua rabbia montava. Della donna, nessuna traccia. Dopo un’ora di attesa, Fausto iniziò a spazientirsi, ma non aveva alcuna intenzione di demordere. Aveva giurato a se stesso di attenderla e così avrebbe fatto, a costo di farsi esplodere lo stomaco per le fitte che ormai si susseguivano senza tregua.

Ma Irene non scendeva e non vi era alcuna ragione che potesse giustificare un’attesa in extremis: rendersene conto lo gettò nel panico. Poteva cercare un albergo o dormire in macchina, ma facendo ciò avrebbe rischiato di non incrociarla e, oltre tutto, proprio mentre rifletteva sul da farsi, realizzò di non aver perso il suo numero di telefono. Dunque era tagliato fuori e l’unico modo per sperare di rivederla al più presto restava la semplice e noiosissima attesa.

Eppure mi basterebbe suonare al suo citofono…” disse tra sé “Cosa potrei rischiare? Nella migliore delle ipotesi mi inviterebbe a tornare su. Nella peggiore ripeterebbe che è meglio se la lascio in pace. No, no e ancora no! Tormentare le persone non è nel mio stile. Se ha creduto bene di allontanarmi, io mi limiterò ad attendere qui, in strada. Quando mi vedrà, non potrà più respingermi”.

Mentre farneticava sul bene e sul male del suo gesto, notò che proprio all’incrocio che la stradina tracciava con una perpendicolare, c’era l’ingresso di un locale, forse un bar o un’enoteca. Di fronte, alcuni giovani, come morti viventi che si risvegliano al calare delle tenebre, chiacchieravano fumando; tra di essi, con i suoi capelli biondi e spettinati, c’era anche l’ambulante derubato! Non c’erano dubbi: i vestiti erano gli stessi. In particolare, una giacca a vento verde con strisce gialle e marroni.

Vive perennemente con quello schifo addosso!” pensò rabbiosamente Fausto alzandosi in piedi “Forse è stato un bene che Irene non sia scesa. Adesso quel bastardo mi potrà minacciare di persona… E vedremo chi sarà costretto a cambiare di corsa paese!

I suoi amici entrarono nel locale, ma il giovane, con una sigaretta senza filtro in mano, continuava a fumare tranquillamente appoggiato al muro. Fausto lo fissò e, subito, una valanga di pensieri si rovesciò nella sue mente già abbastanza provata; quell’uomo, così superficialmente rilassato, stava mettendo a dura prova la sua resistenza.

Io sono la legge!” disse sottovoce prendendo una pietra appuntita staccatasi dal bordo del marciapiede “Io! Come ha potuto costui minacciare Irene e costringerla ad allontanarmi per paura?

Ormai a pochi metri dall’ambulate, alzò la voce puntando il dito per accentuare l’effetto della sua collera: “Tu! Non ti fai ribrezzo? Su! Rispondimi adesso!

L’uomo si voltò di scatto e parve più sgomento che disturbato: “Ehi, ma tu sei lo stronzo della collanina! Cosa vuoi adesso? Non sei rimasto soddisfatto?

Fausto puntò i piedi e urlò come un forsennato: “Mi prendi in giro? Hai pure il coraggio di prendermi in giro?

Senti” rispose il giovane senza alzare il tono della voce “Hai rubato una collanina. Ti ho visto. Adesso cosa vuoi da me? Io non voglio avere guai. Non più. Tieniti quello che hai preso e lasciami in pace”.

Evidentemente doveva trattarsi di un ex detenuto o di un uomo che evidentemente aveva già ricevuto qualche diffida da parte della polizia. La sua remissività era indisponente, gli avrebbe consegnato anche un anello o degli orecchini se Fausto lo avesse continuato a minacciare. Come mai, quindi, la sua rabbiosa reazione con Irene? La donna lo aveva forse istigato? O semplicemente egli si era sentito forte nei confronti di quella creatura così esile e indifesa?

Ti sei divertito con la mia fidanzata?” gli chiese Fausto azzardando i termini.

 L’uomo strabuzzò gli occhi: “Ma cosa dici?” esclamò gettando in terra la sigaretta “Lasciami in pace! Hai capito?

Fausto non gli diede neanche il tempo di realizzare cosa stava accadendo. Si avventò su di lui e lo colpì sulla fronte con la punta della pietra. Fu un gesto istintivo, ma la carica di adrenalina lo attraversò dalla testa ai piedi come se fosse al culmine di un turbinoso orgasmo. In un attimo rivide il volto gemente di Irene nel buio del boschetto e si sentì forte, più forte perfino del male che lo stava divorando.

L’eccitazione, tuttavia, non durò molto. La vista dell’uomo accasciato per terra, con un rivolo di sangue che gli bagnava la giacca e i pantaloni, lo atterrì; per fortuna nessuno si era accorto del tafferuglio e Fausto ne approfittò per correre via verso la piazzetta dove aveva lasciato la macchina.

Voleva tornare da Irene, ma il rischio era troppo grande: la sua casa era a poche decine di metri dal locale e certamente ormai qualcuno si era accorto dell’aggressione. Non poteva neanche chiamarla: maledisse la sua stupidità per non averle chiesto subito il numero, ma anche quella strada era inesorabilmente sbarrata. L’unica possibilità che aveva era quella di allontanarsi dal paese: il boschetto era il luogo più adeguato per fermarsi a riflettere. Mise in moto e si avviò senza curarsi dei limiti di velocità.

Ma poi, su cosa dovrei riflettere?” pensò tamburellando con le mani sul volante “Quel bastardo ha ricevuto ciò che meritava. Per quanto mi riguarda, non devo certo preoccuparmi per lui…

Il mal di stomaco risvegliò anche il suo cinismo: “Anche se volessero perseguirmi, prima di riuscire a mettere insieme tutti i pezzi, io sarò morto e sepolto. Al diavolo tutti quanti!

Persona priva di sensi che giace a terra

Certo, Irene avrebbe saputo tutto e lei era l’unica persona a poter dare un senso a quell’omicidio così assurdo, ma Fausto non la temeva. L’avrebbe chiamata non appena fosse riuscito ad avere il suo numero o, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe tornato da lei notte tempo, magari travestito, con una barba posticcia o con i capelli tinti. Non correva alcun rischio e non c’era ragione di preoccuparsi ulteriormente. Si lasciò andare sullo schienale e cercò di dimenticare l’accaduto.

Senza alcun dubbio il suo proposito era una vera e propria utopia e solo una macchina avrebbe potuto obliare le tracce di un gesto così eclatante: il volto invaso dal terrore dell’ambulante rimaneva di fronte a lui come una nebbiolina sul far del mattino. A nulla serviva lo sforzo razionale per far valere la sua superiorità su qualsiasi evento esterno e perfino i moscerini che scacciava gli sembravano animati da una dignità che li sottraeva alla morte delle cose.

Cominciò a sudare e lo stomaco iniziò nuovamente a contrarsi convulsamente. Scese di corsa dalla vettura e vomitò altro sangue ai piedi di un grosso faggio.

Muoio” pensò “Muoio e nessuno ne accorge…

Tornò nell’auto barcollando e cercò di addormentarsi. Il sonno, forse, avrebbe calmato la furia del suo corpo. Chiuse gli occhi come ormai soleva fare sovente, ma il cuore batteva muto la marcia degli sconfitti e la sua mente pareva catturata in un giogo di immagini vorticose. Provò a scacciarle ripensando al volto sereno di Irene: quella disgraziata non era certo in fin di vita, benché la sua felicità fosse sempre stata così precaria e il suo futuro quanto mai avvolto nell’incertezza; ripensò alla stranezza del loro incontro, a Caterina, alle numerose fotografie del marito defunto, al giardino nascosto e, infine, involontariamente, al rapporto sessuale consumato con Cora tra foglie e rovi.

Già… Cora” sussurrò senza aprire gli occhi “Dovrei costruirmi un alibi con lei…

Quell’improvvisa illuminazione lo riportò alla realtà. Se sino a pochi minuti prima, la paura di essere scoperto era stata scacciata a suon di logica libertina, adesso sembrava che ogni idea si fosse spogliata di tutti i brillantini per mostrare la crudezza del proprio corpo anoressico.

Non un vero alibi” ripeté guardandosi stralunato nello specchietto retrovisore “Non ho affatto bisogno di un alibi… Solo una scusa per evitare troppi fastidi. E se Cora non vorrà, allora le dirò tutto su di me e magari le sbatterò in faccia la sua noncuranza. Con le persone insensibili l’unica arma è l’evidenza”.

Poche parole pronunciate in quella sterile solitudine riuscirono a farlo risolvere per una decisione priva di ogni conseguenza logica con il suo precedente comportamento. Fausto lo comprese senza tuttavia prestarvi troppa attenzione: la debolezza, come la forza d’altronde, è tale solo se qualcuno la nota e in quel frangente neppure il diretto interessato pareva essere cosciente della sua pregnanza. Poteva evitare parecchi disagi con il supporto inconsapevole di Cora e l’unico pericolo, arrivato a quel punto, era insito solo nella rinuncia aprioristica ad un confronto decisamente doloroso.

Si avviò verso Roma cercando di ascoltare la radio per distrarsi. Il silenzio delle ore giovani della notte lo accompagnava come un becchino al corteo del suo stesso funerale.


Depositato per la tutela legale presso Patamu: certificato


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